GIULIANA CARBI
Il teatro delle cose
Il teatro delle cose
Sono piccole compatte presenze oggettuali scure – è importante premetterlo- composte sia di fotografia che di cornice.
La studiata composizione di alcuni oggetti quotidiani in un contesto artificiale sottolinea l'intenzione di riportare l'immagine fotografica agli schemi della finzione rappresentativa classica delle antiche nature morte; la particolare scelta di oggetti consunti o testimoni del passato allontana ogni allusione al presente; la stampa ai sali d'argento riprende uno dei metodi dei primordi della fotografia: la lunga esposizione alla luce naturale che sottolinea le minime increspature della luce sugli oggetti, nel morbido "scuro" che satura il contesto dell'immagine. Similmente che in una maniera nera – tecnica incisoria in cui non possono esistere pentimenti – il risultato della luce sulla lastra fotografica non può essere ripetuto. Né Sergio Scabar intende produrre più di una copia di questi lavori su carta e rafforza in ogni altro modo possibile la loro non partecipazione alla realtà del tempo, non adeguatezza allo sviluppo del pensiero contemporaneo in fotografia.
Silenti, entropiche presenze oggettuali, cadenzate con grandi cesure di spazio sul muro della galleria, sono la condensazione dell'idea contradditoria di appropriatezza: trasmutano improvvisamente la loro natura artigianale e rimbalzano nella condizione concettuale dell'impossibilità di identità del mondo contemporaneo.
La studiata composizione di alcuni oggetti quotidiani in un contesto artificiale sottolinea l'intenzione di riportare l'immagine fotografica agli schemi della finzione rappresentativa classica delle antiche nature morte; la particolare scelta di oggetti consunti o testimoni del passato allontana ogni allusione al presente; la stampa ai sali d'argento riprende uno dei metodi dei primordi della fotografia: la lunga esposizione alla luce naturale che sottolinea le minime increspature della luce sugli oggetti, nel morbido "scuro" che satura il contesto dell'immagine. Similmente che in una maniera nera – tecnica incisoria in cui non possono esistere pentimenti – il risultato della luce sulla lastra fotografica non può essere ripetuto. Né Sergio Scabar intende produrre più di una copia di questi lavori su carta e rafforza in ogni altro modo possibile la loro non partecipazione alla realtà del tempo, non adeguatezza allo sviluppo del pensiero contemporaneo in fotografia.
Silenti, entropiche presenze oggettuali, cadenzate con grandi cesure di spazio sul muro della galleria, sono la condensazione dell'idea contradditoria di appropriatezza: trasmutano improvvisamente la loro natura artigianale e rimbalzano nella condizione concettuale dell'impossibilità di identità del mondo contemporaneo.
Catalogo della rassegna "Szép Idő - Bel Tempo – Fine Weather", Ludwig Museum, Budapest – Museum of Contemporary Art, Budapest, 1999