FABIO AMODEO
Il silenzio delle cose
Il silenzio delle cose
Il metodo Scabar (credo sia lecito chiamarlo così) è il frutto di un processo di tipo alchemico. Sergio Scabar vi si è avvicinato attraverso un lungo e coerente percorso, durante il quale l’osservatore poteva credere che fosse impegnato in normali attività: scattare delle fotografie, operare in camera oscura, in realtà Scabar stava sottoponendosi a un percorso di iniziazione.
Quando il processo è giunto a conclusione, i materiali con i quali l’artista opera sono trasmutati: colore della carta, rapporti dei toni tra loro, forme fisiche, hanno assunto un’altra apparenza. La maledizione originaria della fotografia (solo ciò che sta davanti all’obiettivo può essere raccolto dalla pellicola, in modo riconoscibile. Forme visive di oggetti, e non idee, sensazioni intuizioni intangibili) contro la quale per oltre un secolo hanno lottato i fotografi di ogni latitudine, improvvisamente diventa un ricordo.
Sottopost alla trasmutazione operata da Scabar, ciò che sta davanti all’obiettivo diventa parte di un percorso poetico, di un mondo fatto di luci velate e di ombre profonde dentro le quali, tuttavia, l’occhio continua a leggere, di un universo nel quale gli elementi fondamentali (la luce, l’ombra, la massa, la forma) diventano improvvisamente evidenti proprio grazie alla trasmutazione. Tutto questo viene operato esclusivamente attraverso mezzi fotografici: non c’è segno di matita, né tono modificato dal computer. Solo materiali sensibili alla luce, prodotti chimici, carta e acqua.
Ciascun elemento viene però piegato dalla trasmutazione che Scabar ha appreso durante la sua lunga iniziazione, un percorso che ha avuto il merito quasi unico di non aderire mai ad altre suggestioni, come se il fotografo camminasse lungo un sentiero già tracciato dagli astri o dall’interagire degli elementi naturali. Al termine del sentiero ci sono le opere come le vediamo oggi. Non hanno un titolo, e neppure una data, perché la trasmutazione le ha portate fuori dal tempo. Sono un confine della fotografia.
Quando il processo è giunto a conclusione, i materiali con i quali l’artista opera sono trasmutati: colore della carta, rapporti dei toni tra loro, forme fisiche, hanno assunto un’altra apparenza. La maledizione originaria della fotografia (solo ciò che sta davanti all’obiettivo può essere raccolto dalla pellicola, in modo riconoscibile. Forme visive di oggetti, e non idee, sensazioni intuizioni intangibili) contro la quale per oltre un secolo hanno lottato i fotografi di ogni latitudine, improvvisamente diventa un ricordo.
Sottopost alla trasmutazione operata da Scabar, ciò che sta davanti all’obiettivo diventa parte di un percorso poetico, di un mondo fatto di luci velate e di ombre profonde dentro le quali, tuttavia, l’occhio continua a leggere, di un universo nel quale gli elementi fondamentali (la luce, l’ombra, la massa, la forma) diventano improvvisamente evidenti proprio grazie alla trasmutazione. Tutto questo viene operato esclusivamente attraverso mezzi fotografici: non c’è segno di matita, né tono modificato dal computer. Solo materiali sensibili alla luce, prodotti chimici, carta e acqua.
Ciascun elemento viene però piegato dalla trasmutazione che Scabar ha appreso durante la sua lunga iniziazione, un percorso che ha avuto il merito quasi unico di non aderire mai ad altre suggestioni, come se il fotografo camminasse lungo un sentiero già tracciato dagli astri o dall’interagire degli elementi naturali. Al termine del sentiero ci sono le opere come le vediamo oggi. Non hanno un titolo, e neppure una data, perché la trasmutazione le ha portate fuori dal tempo. Sono un confine della fotografia.
Galleria Villa Ciani, Lestans, 2003